Comunione legale tra coniugi ed espropriazione immobiliare

Un focus sulla questione dell'espropriazione immobiliare dei beni della comunione legale tra coniugi per debiti contratti da uno solo di essi. Il consolidamento e le implicazioni del nuovo corso giurisprudenziale. Le criticità degli orientamenti di segno contrario. I riflessi operativi.

 

SOMMARIO:

1. Questione ricorrente e quadro giurisprudenziale
2. Natura della comunione legale
3. Alcune osservazioni
4. Divieto d’acquisto del coniuge non debitore
5. Conclusioni e conseguenze 

 

1.Questione ricorrente e quadro giurisprudenziale.

Tra le questioni tradizionalmente controverse in tema di espropriazione forzata una posizione di spicco ricopre l’ipotesi del pignoramento avente ad oggetto un bene ricadente nella comunione legale dei coniugi. La questione viene in evidenza ogni qualvolta la procedura esecutiva sia intrapresa con riferimento ad un cespite comune dal creditore particolare del singolo coniuge.

Il regime patrimoniale ordinario della famiglia è costituito dalla c.d. comunione legale, modellata sull’attribuzione ai coniugi di omologhi poteri di gestione del patrimonio e uguali diritti sugli acquisti. I beni, in ragione delle caratteristiche normativamente individuate che li contrassegnano, possono essere inclusi o esclusi dalla comunione. La natura comune o personale di essi si riflette sull’ambito della responsabilità patrimoniale del debitore coniugato in regime di comunione legale. I creditori comuni si ristorano innanzitutto sul patrimonio comune, sussidiariamente sui beni personali di ciascun coniuge nella misura della metà del credito. I creditori personali, per converso, si soddisfano in principalità sul patrimonio personale del coniuge debitore e in via sussidiaria sul patrimonio della comunione sino al valore della quota del coniuge obbligato.

L’art. 189, comma 2, c.c., prevede che "i creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Ad essi, se chirografari, sono preferiti i creditori della comunione". La norma attribuisce al creditore personale del singolo coniuge la facoltà di soddisfarsi, sia pur sussidiariamente, sui beni della comunione, entro una soglia corrispondente alla “quota” del predetto obbligato. Tale facoltà, che abbraccia anche ragioni creditorie nate prima del matrimonio, può essere neutralizzata dal debitore, eccependo il beneficium excussionis, ossia indicando i beni personali del coniuge obbligato sui quali il titolare della pretesa può soddisfarsi.

La lettera della disposizione, proprio nella parte in cui richiama la sussidiarietà, aveva spinto una parte della dottrina a ritenere che l’esecuzione sui beni comuni presupponesse la negativa o insufficiente escussione del patrimonio personale del coniuge debitore[1]. L’impostazione è stata soppiantata dalla tesi che riconosce al creditore l’opportunità di aggredire qualunque bene dei coniugi, rimanendo incerto per lui, in quanto terzo, appurare ab initio quali esattamente esattamente siano i beni comuni, quali quelli personali. Sarà, dunque, onere dei coniugi, intrapresa l’esecuzione, indicare i beni personali su cui il creditore potrà e dovrà soddisfarsi con precedenza[2]. Più disagevole intendere la regola di sussidiarietà come imposizione al creditore dell’onere di richiedere previamente al coniuge-debitore l’indicazione dei beni personali sui quali potersi soddisfare, lasciando quindi il creditore stesso libero di aggredire i beni della comunione legale soltanto in ipotesi di mancata esposizione di beni personali all’esecuzione del creditore. Incentrare la regola su un beneficium ordinis, più che un beneficium excussionis – configurando un’ipotesi di responsabilità sussidiaria simile a quella prevista nella delegazione cumulativa di pagamento (art. 1268, comma 2, c.c.), nel cui quadro il creditore non può rivolgersi al delegante se prima non ha richiesto al delegato l’adempimento – implicherebbe il rischio di strategie “difensive” da parte del debitore volte a mettere al riparo i beni più che ad ostenderli.

La legge non fornisce alcuna espressa indicazione sulle modalità dell’azione esecutiva sui beni oggetto di comunione legale tra coniugi, sicché occorre fare riferimento alle norme ordinarie sul processo esecutivo.

Nel 2013, la Corte di Cassazione ha inaugurato l’orientamento in base al quale, ove ad agire esecutivamente sia il creditore particolare di uno dei coniugi in comunione legale, la natura di comunione senza quote propria di quest’ultima postula che l'espropriazione assuma, nondimeno, ad oggetto il bene comune nella sua interezza e non per la sua metà; a derivarne è lo scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all'atto della sua vendita o assegnazione, con la genesi del diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione[3]. Che il coniuge non debitore possa rivendicare la metà lorda è aspetto logico, non potendo far carico al predetto le spese di una liquidazione che ha luogo contro la sua volontà.

L’opzione dei giudici di piazza Cavour è stata ripresa a stretto giro da pronunce successive, sedimentandosi rapidamente[4].

Può dirsi ormai recessiva la soluzione ammissiva del pignoramento della quota (virtuale) del bene in comunione, invalsa nella prassi di alcuni uffici di merito e perorata da una parte della dottrina[5].

Nel contesto dell’esecuzione forzata che attinge i beni della comunione legale per le obbligazioni personali del singolo coniuge, l’altro diviene, pertanto, soggetto passivo del processo, con gli stessi diritti e doveri del debitore[6]. La posizione giuridica del coniuge non debitore è qualificabile alla stregua di una soggezione, consistente in una responsabilità senza debito per obbligazioni che non gli sono soggettivamente riferibili né in via diretta né per il tramite sostanziale della funzionalizzazione all’interesse della famiglia del vincolo assunto (art. 186, lett. c, c.c.).

Nondimeno, quando il debito cui si riferisce il titolo esecutivo rientra fra quelli che gravano sui beni della comunione, è irrilevante che il titolo inerisca uno solo dei coniugi, poiché quand’anche ottenuto nei confronti dell’uno deve ritenersi efficace nei confronti dell'altro. Il non debitore assurge a parte necessaria procedimento di espropriazione forzata del bene, sol che si consideri che il cespite è oggetto di una contitolarità solidale discendente dal regime della comunione coniugale[7].

Siccome fa difetto una disciplina specifica, mirata a coordinare le peculiarità della comunione legale con le urgenze della tutela coattiva del credito, l’unica via percorribile dal punto di vista sistematico è quella di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’apparato normativo, tesa a preservare il principio del contraddittorio per il tramite di una pragmatica “notificazione” nei confronti del coniuge non obbligato dell'atto che imprime sul bene in comunione un vincolo ulteriore, funzionale alla soddisfazione del credito, id est il pignoramento.

Passaggio necessario quello ora descritto, a tal punto che l'esecuzione forzata sull’intero bene in comunione legale deve ritenersi improcedibile qualora il pignoramento non sia stato notificato e trascritto, oltre che nei confronti del coniuge debitore, anche del coniuge che debitore non è[8].

L’onere di notificare il pignoramento e di trascriverlo nei confronti del coniuge non obbligato, il quale patisce l'espropriazione al pari dell’obbligato, viene in apice anche allorché la trascrizione dell'acquisto afferente il bene espropriato abbia avuto luogo a favore del solo debitore esecutato, atteso che l’altro diviene comunque comproprietario del bene ipso jure per l'effetto dell'art. 177 c.c., quand’anche non sia fatta espressa trascrizione di tale acquisto.

In tal senso, la consultazione degli atti dello stato civile si pone nei casi dubbi alla stregua di incombente necessario e prodromico per il creditore che si accinga ad agire in executivis[9].

Il coniuge non debitore assume le medesime vesti processuali dell’esecutato e come tale va trattato, tanto da consegnarsi all’applicazione delle medesime regole cui soggiace l’obbligato “diretto” e da fruire dei medesimi strumenti di tutela.

Utile precisare quali. Il coniuge non debitore è certamente legittimato ad insorgere con le opposizioni agli atti esecutivi. Egli non potrà, invece, invocare, attraverso l'opposizione di terzo l’esclusione dall'espropriazione di una quota in natura del bene, posto che fino allo scioglimento della comunione, non è titolare di nessuna quota. Il non obbligato sarà naturalmente facoltizzato a far valere la proprietà esclusiva del bene staggito, adombrandone l’estraneità alla comunione. Egli potrà inoltre contrastare con l’opposizione ad esecuzione la pretesa creditoria che dovesse trascurare la sussidiarietà del bene in comunione, tralasciando la presenza di cespiti personali del coniuge debitore proficuamente aggredibili per il soddisfacimento del credito personale verso quest'ultimo. Infine, con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. il non obbligato potrà far avversare le nullità di quegli atti di esecuzione che comportino la violazione o la limitazione del suo diritto alla metà del controvalore del bene, come pure di quelli che incidano sulla pienezza di quest'ultimo, se relativi alle operazioni di vendita o assegnazione.

Se il coniuge non debitore non si attiva per tutelare le proprie ragioni anche in presenza della comunione ex art. 177 c.c. rileva il principio secondo cui il sopravvenuto accertamento dell'inesistenza di un titolo idoneo a giustificare l'esercizio dell'azione esecutiva non fa venir meno l'acquisto dell'immobile pignorato, che sia stato compiuto dal terzo nel corso della procedura espropriativa in conformità alle regole che ne disciplinano lo svolgimento, salvo che sia dimostrata la collusione del terzo col creditore procedente. In tal caso, tuttavia, resta salvo il diritto dell'esecutato di far proprio il ricavato della vendita e di agire per il risarcimento dell'eventuale danno nei confronti di chi, comportandosi senza l’impiego della normale prudenza, abbia dato corso al procedimento esecutivo in difetto di un titolo idoneo[10].

 

2.Natura della comunione legale.

La comunione legale è divaricata sotto vari aspetti da quella ordinaria: è una comunione senza quote, laddove l’altra le contempla[11]. Nella comunione matrimoniale, i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto sui beni che ne sono oggetto, condividendo una sorta di proprietà “solidale”, mentre nella comunione ordinaria sono le quote ad essere oggetto di un diritto individuale dei partecipanti e a rappresentare il limite del loro potere dispositivo. Nella comunione fra i coniugi, il significato della quota è radicalmente diverso dall'accezione che il concetto riveste in quella ordinaria, perché della prima la quota non è elemento strutturale. La comunione legale si instaura, infatti, sull’intero patrimonio comune complessivamente inteso, per cui ciascuno dei coniugi è titolare di un diritto avente ad oggetto tutti i beni della comunione e ognuno di essi per l’intero e non per una frazione. La quota, pertanto, ha una valenza secondaria ed ancillare; che risponde a tre funzioni molto specifiche: stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti creditori personali (art. 189 c.c.); fissare la soglia della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190 c.c.); individuare la proporzione in cui, sciolta la comunione, l'attivo e il passivo andranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194 c.c.) .

La comunione legale appare come un centro autonomo di imputazione di situazioni giuridiche soggettive sottoposto ad uno statuto speciale, e che si connota come massa patrimoniale, rispetto alla quale i coniugi risultano legati da un rapporto di contitolarità per quote, non solo virtuali, ma anche inderogabilmente uguali. Ne deriva che, diversamente da ciò che accade nella comunione ordinaria la quota è sempre indisponibile, anche coattivamente.

Proprio la natura di comunione senza quote della comunione legale ha indotto la giurisprudenza di legittimità a ribadire ancora di recente che l’espropriazione per crediti personali di uno solo dei coniugi, di uno o più beni in comunione debba avere ad oggetto la “res” nella sua interezza e non per la metà o per una quota[12].

La Corte di Cassazione si muove sul crinale di questa ricostruzione, traendone un corollario ormai solido e di per sé difficilmente controvertibile: il pignoramento promosso dal creditore personale di un singolo coniuge non può assumere ad oggetto una quota che non esiste come situazione giuridica soggettiva suscettibile di autonoma circolazione, ma come semplice riferimento contabile e ideale.

Un diritto individuale che dogmaticamente non preesiste all’esecuzione forzata, non può germogliare assumendo a presupposto fondante l’avvio di questa. La comunione, per sciogliersi, deve attendere la vendita del bene.

Il percorso del giudice del diritto è allineato sul piano ermeneutico a quello del giudice delle leggi. La Corte Costituzionale ha ravvisato, a sua volta, nella comunione legale una comunione senza quote, di tipo “germanico”: ciascun coniuge nei rapporti con i terzi, ha il potere di disporre, non di una fantomatica partecipazione, ma dei beni in comune per intero; il consenso dell'altro, richiesto dall'art. 180, comma 2, per gli atti di straordinaria amministrazione, è un mero atto autorizzativo, che rimuove un limite all’esercizio di un potere già nella titolarità di chi lo esplica.

Nella giurisprudenza di legittimità la sottolineatura della comunione tra coniugi come finalizzata alla tutela non già della proprietà individuale, quanto, piuttosto della famiglia assume un tratto caratterizzante[13].

 

3.Alcune osservazioni.

Una parte della dottrina contesta la tenuta della ricostruzione perorata dalla Suprema Corte[14], insistendo ora sull'applicazione integrale della disciplina sull'espropriazione contro il terzo proprietario (art. 602 ss. c.p.c.), ora su quella dell'espropriazione di beni indivisi.

Il riferimento al primo schema – invero privo di riscontri nell’esperienza degli uffici giudiziari – non ha mai attecchito, men che meno persuaso, perché sembra inciampare sull’inapplicabilità, per l’eccezionalità che le contrassegna, delle regole in materia di espropriazione contro il terzo proprietario di cui agli artt. 602-604 c.p.c. L’espropriabilità dei beni del coniuge non obbligato palesemente non scaturisce da un vincolo lontanamente assimilabile a quello del terzo datore di pegno o ipoteca o acquirente con atto revocabile. Il creditore è legittimato ad agire sul bene in comunione perché quel bene rientra nel perimetro della responsabilità patrimoniale generica del coniuge-debitore e, pertanto, così come il coniuge non intestatario del cespite potrebbe alienarlo quand’anche intestato esclusivamente all’altro coniuge, attraverso un atto impugnabile ex art. 184 c.c., ma efficace nei confronti dei terzi, analogamente deve essere consentito, in conformità ai principi di comunanza e solidarietà familiare, che il medesimo bene venga sottoposto ad esecuzione forzata da parte del creditore del coniuge non intestatario esattamente nelle stesse forme e con le stesse modalità in cui si agirebbe se l’esecuzione venisse svolta su beni formalmente appartenenti al coniuge-debitore.

Non miglior sorte assiste il richiamo ormai crespuscolare alla disciplina in tema di espropriazione di beni indivisi di cui agli artt. 599-601 c.p.c., che pure ha variamente segnato l’esperienza concreta di alcuni tribunali, sebbene sembri scartata in virtù della natura non parcellizzata della comunione tra i coniugi[15].

Alcuni rilievi ulteriori rendono la gamma dei principi più nitida.

Il modulo liquidatorio dei beni indivisi cozza con l’impossibilità di scorgere nel coniuge non debitore il proprietario esclusivo di una parte, anche solo teorica e ineffabile, del bene da aggredire esecutivamente.

L’art. 600 c.p.c., nel delineare tre possibili varianti espropriative, condurrebbe, qualora messo in pista, ad approdi che lambiscono il paradosso: la sostituzione insolita del marito o della moglie con il terzo estraneo; la vendita o l'assegnazione della quota, con l’attribuzione ad una atto processuale – il pignoramento – del formidabile uffizio di inventare e plasmare un diritto di quota che la Riforma del diritto di famiglia nel 1975 non aveva prefigurato; l'applicabilità con riferimento al singolo cespite del procedimento divisorio previsto dall’art. 194 c.c. per l’intera massa.

Quest’ultimo approdo è stridente con l’assetto ordinamentale, recando insito persino un contrasto con gli artt. 189 comma 2 e 192 c.c. e con i principi di inalienabilità ed indivisibilità della comunione legale in vigenza del regime legale.

Non meno vistosamente ambigui appaiono gli altri due evocati profili.

Il primo restituisce un’immagine plastica eclatante e insolita. In realtà, il legislatore non ha previsto tra le cause di scioglimento della comunione l'azione esecutiva del creditore. Bisogna prenderne atto, sicché non può ammettersi un'espropriazione della quota che faccia entrare il terzo aggiudicatario in comunione legale col coniuge non esecutato. La comunione legale, d’altronde, in quanto regime patrimoniale della famiglia, non è concepibile se non tra coniugi, di certo non ammette terzi incomodi.

Quanto al secondo dei rappresentati aspetti, l’azione esecutiva presuppone fin dall’inizio l’identità certa e netta del bene che investe, il che la rende inconciliabile con una quota che è intrinsecamente indefinita, poiché definibile solo nel momento in cui la comunione legale fra i coniugi, disgregandosi, la rende computabile. In linea generale, la quota di spettanza di ciascun coniuge può dirsi certa nel suo ammontare soltanto con l’epilogo dello scioglimento, posto che prima di quell’istante rappresenta un’astratta misura di riparto, dovendosi per di più tener conto, in sede di divisione, dell’esistenza di eventuali obblighi di rimborso ex art. 192, comma 3, c.c. e di accidentali obblighi di ricostituzione della comunione da parte dei coniugi ex art.184 comma 3, c.c.

Il pignoramento, dal canto suo, non è un atto idoneo a forzare il bene fino a frazionarlo, ma uno strumento che intercetta il cespite nella sua attuale fisionomia e, in ragione di quella, per come può, lo vincola.

Una criticità nella prospettiva della Corte potrebbe scorgersi in ciò, che la quota negata a monte in certo senso risorge a valle, sia pure in foggia di porzione della somma ricavata. In buona sostanza, se da un lato si riconosce la contitolarità in capo ai coniugi del diritto reale sul bene sottoposto ad esecuzione, dall'altro, questo diritto reale viene tramutato in un diritto di credito all'ottenimento della metà del ricavato.

La costruzione non può essere giustificata – si obietta – dalla riconosciuta possibilità della partecipazione del coniuge non debitore alla procedura esecutiva, perché essa è deputata unicamente a difenderlo dall'eventuale violazione dei limiti previsti dal 2° comma dell’art. 189 c.c., non a farlo diventare destinatario di parte del ricavato dall'espropriazione forzata[16]. Se ciò è vero, altrettanto vero è un altro aspetto: la vendita scioglie la comunione, pertanto, che la metà del ricavato dell’alienazione debba rimettersi alla titolarità esclusiva del coniuge non obbligato, per un verso è effetto fisiologico dei principi generali sulla ripartizione del ricavato della comunione nel frangente del suo scioglimento, per altro verso, è coerente con l’esigenza di escludere che, permanendo l'altra metà del ricavato nel perimetro di una comunione che non c’è più, essa si esporrebbe ad ulteriori esecuzioni da parte dei creditori particolari del medesimo coniuge obbligato, con evidente scavalcamento del limite di espropriabilità scandito dall’art. 189 c.c.

Ed allora, la disciplina d’impronta sistematica delineata dalla Corte di Cassazione coordina le peculiarità insopprimibili della comunione legale con le impellenze della realizzazione coattiva del credito; lo fa imboccando l’unico sentiero non scosceso, che è quello di una ricostruzione ordinata e costituzionalmente orientata delle regole sostanziali e processuali vigenti.

Al fondo è la salvaguardia del principio del contraddittorio, attraverso il realismo e la concretezza di una “notificazione” nei confronti del non obbligato dell’atto che imprime il vincolo pignoratizio sul bene in comunione. Questa soluzione ha il pregio di riportare la posizione del coniuge non obbligato nel medesimo paradigma che incapsula quella del debitore esecutato, rendendo applicabili nei riguardi di entrambi le stesse norme processuali.

Il passo compiuto si muove su un terreno compatto e non scivoloso. In effetti, il titolo esecutivo nei confronti di uno dei coniugi non può che assumere efficacia nei confronti dell'altro in virtù del suo oggettivo ambito di efficacia, tracciato proprio dalla previsione di cui all’art. 189, comma 2, c.c., che consente l'esecuzione forzata sui beni della comunione legale. Detti cespiti confluiscono in una massa patrimoniale che – entro i confini stabiliti dalla norma – è vincolata all'adempimento delle obbligazioni personali del coniuge debitore, cosicché il titolo esecutivo ottenuto nei suoi confronti spiega naturaliter un’efficacia esecutiva espansa al coniuge non nominato. E poiché dei beni in comunione ambedue i coniugi sono solidalmente titolari sul piano sostanziale, non possono che rivelarsi entrambi legittimati passivi nel contesto di un’esecuzione forzata che quei beni colpisca.

 

4.Divieto d’acquisto del coniuge non debitore.

Come noto l’art. 571 c.p.c., con riferimento alla vendita senza incanto, e l’art. 579 c.p.c., in relazione alla vendita all'incanto, precludono al debitore di formulare offerte d’acquisto dell’immobile staggito.

In una recente pronuncia di merito il divieto ex art. 571 c.p.c. è stato esteso al coniuge non debitore[17]. Quest’ultimo, infatti, presenta i caratteri sostanziali del soggetto esecutato, esponendosi al divieto a offrire per l'acquisto dell'immobile contemplato dalla norma testè ridetta[18].

Il nuovo corso intrapreso nel 2013 segna anche in parte qua il superamento del vecchio indirizzo di legittimità, che puntava sull’eccezionalità del limite fissato dalla norma[19]. Il non debitore, infatti, secondo il nuovo avviso della Corte di Cassazione, è soggetto passivo dell'espropriazione, dotato di diritti e gravato di doveri assimilabili a quelli del coniuge debitore esecutato. Qualora fosse ammesso a partecipare alla vendita si innescherebbero tre interconnesse anomalie: la formulazione di un offerta di acquisto per un bene da parte di un soggetto che ne è già titolare; l’acquisto di una quota nel contesto di una comunione per definizione è “senza quote” e a “mani riunite”; la restituzione all’acquirente della quota di metà del valore di liquidazione, con un travolgimento del meccanismo della gara.

 

Conclusioni e conseguenze.

In ultima analisi, oggetto del pignoramento è il bene ricadente in comunione per l’intero e che l’esecuzione forzata ha da svolgersi seguendo la disciplina generale dell’espropriazione forzata, sia pure con gli adattamenti imposti dalle peculiarità della fattispecie. Gli uffici di merito si sono uniformati senza indugio alle indicazioni offerte in tal senso dalla Corte di Cassazione, anche con riferimento ai pignoramenti sulla metà del bene in comunione relativi a procedure già pendenti al 2013, per le quali si è sovente pervenuti a dichiarazioni di improcedibilità. Non è mancato uno sforzo teso a salvare le procedure instradandole verso l’estensione dell’originario pignoramento da parte del creditore procedente, nei modi e nei tempi consentiti, all’intero cespite.

Ora, è chiaro che la riforma del diritto di famiglia sia nata con una congenita lacuta tecnica, da associare, verosimilmente, alla generale distrazione del legislatore agli aspetti processuali. Eppure, sul piano del diritto vivente quella adottata dalla giurisprudenza nomofilattica è un’impostazione coerente con la prospettiva entro cui si iscrive la comunione legale fra i coniugi, che, come regolata dagli artt. 177 e ss. c.c., rappresenta un istituto che fa perno su uno schema normativo non finalizzato, come quello della comunione ordinaria regolata dagli artt. 110 ss. c.c., alla tutela della proprietà individuale, bensì alla tutela della famiglia, attraverso particolari forme di protezione della posizione dei coniugi nel suo ambito, soprattutto con speciale riferimento al regime degli acquisti. I coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto i beni della comunione e la quota non rappresenta un elemento organico dell'istituto. Conseguentemente, deve escludersi che il coniuge possa alienare ad un terzo la sua partecipazione nella comunione legale, determinando l'inconcepibile effetto giuridico di una comunione legale tra soggetti non coniugi.

Il creditore di uno di questi, pertanto, dovrà pignorare l'intero immobile in comunione, con facoltà peraltro di soddisfarsi solo sul ricavato nei limiti della quota spettante all’obbligato, mentre l'interesse del coniuge non obbligato è sufficientemente presidiato dal diritto di far propria la rimanente parte del 50% del ricavato e, prima ancora, dal riconoscimento del ruolo di parte necessaria del giudizio esecutivo.

Quale soggetto passivo dell’espropriazione il non obbligato avrà un coacervo di diritti e doveri identici a quelli dell’esecutato; ciò fin dall’esordio, dovendoglisi notificare il pignoramento. Quanto alla trascrizione sul diritto di proprietà che si appartiene ai coniugi in regime di comunione, la trascrizione va eseguita in capo a ciascuno dei due per la metà e quindi congiuntamente per l’intero, in luogo dell’intero contro entrambi i coniugi, trattandosi dell’unica opzione consentita dal sistema meccanizzato.

La soluzione avallata dalla nomofilachia appare la sola in grado di fronteggiare un regime - quello sulla comunione legale dei beni - che è stato ispirato solo da una prospettiva sostanziale, senza previsioni in punto di modalità ed effetti dell'espropriazione dei beni comuni. La soluzione in parola è anche la sola che si presta ad accorgimenti empirici utili a dar corso all’azione esecutiva assicurando un involucro di garanzie in favore del coniuge non debitore.

Sul piano concreto la dinamica processuale si svilupperà tenendo conto che i soggetti passivi sono due, il che non sarà scevro di conseguenze sul piano operativo. Innanzitutto, la documentazione ipocatastale non potrà che riguardare ambedue i coniugi, dovendosi appurare se quello non debitore abbia in ipotesi posto in essere atti di disposizione del bene staggito. Inoltre, l’avviso ex art. 498 c.p.c. andrà inoltrato anche ai creditori particolari del coniuge non obbligato. Infine, il decreto di trasferimento dovrà rimuovere anche le ipoteche, se del caso, iscritte contro il coniuge non obbligato.

 

 

[1] De Paola, Macrì, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978, 198.

[2] Frangini, Espropriazione del bene in comunione legale col coniuge e forme dell’esecuzione, in Notariato, 1999, 4, 315.

[3] Cass. 14 marzo 2013, n. 6575, in Dejure.

[4] Cass. 29 maggio 2015, n. 11175 e Cass. 31 marzo 2016, n. 6230, entrambe in Dejure..

[5] Tra gli studiosi che hanno ritenuto che oggetto di pignoramento dovesse essere la sola “quota” spettante al coniuge obbligato sul singolo bene rientrante nella comunione legale v. Vanz, Comunione legale tra i coniugi ed esecuzione forzata, Fam. e dir., 1998, 159; Grasso, Comunione legale ed espropriazione della quota del coniuge perso-nalmente obbligato, in Riv. dir. civ., 1988, 406 s.

[6] Cass. 14 marzo 2013, n. 6575 cit.

[7] Paladini, La comunione legale come «proprietà solidale»: le conseguenze sistematiche e applicative, in Fam. e dir., 2008.

[8] Trib. Viterbo, 10 ottobre 2019, in Dejure.

[9] Gli atti dello stato civile rendono edotto il creditore, oltre che dello status di persona coniugata del debitore, anche della “appartenenza” alla comunione del bene assoggettato ad esecuzione, in forza del regime patrimoniale scelto dai coniugi o da essi non rifiutato all'atto della celebrazione del matrimonio.

[10] Cass. 10 febbraio 2015, n. 2471 che richiama Cass. sez. un. del 28.11.2012 n. 21110, in Dejure.

[11] In tema v. Busnelli, La “comunione legale” nel diritto di famiglia riformato, in Riv. not., 1976, I, 35.

[12] Cass. 24 gennaio 2019, n. 2047, in Dejure.

[13] Cass. 12 gennaio 2011, n. 517; Cass. 9 ottobre 2007, n. 21098, in Dejure.

[14] Acone, Espropriabilità dei beni della comunione legale per i debiti personali di uno dei coniugi; un passo avanti ed uno indietro della Corte di cassazione; in Nuova Giur. civ. comm., 2013, I, 663 ss.; Costa, Responsabilità della comunione per i debiti personali dei coniugi: ancora non chiaro il concetto di quota; in Riv. dir. proc., 2014, 790 ss.; Balena, Brevi riflessioni sull'espropriazione dei beni in comunione legale, in Giusto proc. civ., 2014, 1 ss.; Lombardi, L'espropriazione promossa dai creditori particolari del coniuge. L’art. 189 c.c. tra dogmatica e diritto vivente, Torino, 2019, sp. 1 s. e 147 ss.

[15] In dottrina v. Bianca, Diritto civile, La famiglia. Le successioni, vol. II, Milano 2001, 120; Finocchiaro- Finocchiaro, Diritto di famiglia: commento sistematico della legge 19 marzo 1975, n. 151 (Legislazione-Dottrina-Giurisprudenza), I, Milano 1984, 1110 ss.; Malagù, Esecuzione forzata e diritto di famiglia, Milano 1986, 66 ss.

[16] Cardino, Creditori particolari del coniuge in comunione legale e oggetto del pignoramento fra diritto vivente e diritto morente in Giur. merito, 2012, 629.

[17] Trib. Siracusa, 26 luglio 2019 annotata da Lombardi, Comunione legale e acquisto dell'immobile pignorato: un divieto per il coniuge non debitore?, in Famiglia e Diritto, 2020, 5, 479.

[18] Santagada, Espropriazione forzata dei beni della comunione legale per debiti personali, in Il processo esecutivo, Liber amicorum Romano Vaccarella, Torino, 2014, rispettivamente 659 ss.

[19] Cass. 2 febbraio 1982, n. 605, in Foro it., 1982, I, 1979, con nota di Orsenigo, e in Giust. civ., 1982, 1258.

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